Sarebbe estremamente facile banalizzare sull’utilità delle
attività sportive (specialmente con dinamiche di squadra), nel processo di
crescita sociale del bambino. Vien da se che stare in gruppo, seguire delle
regole comuni e condivise, perseguire un obiettivo con altri, sia estremamente
utile per quanto riguarda la socializzazione.
E’ appunto una
banalità.
Quello che
ci proponiamo di fare, in ambito scuola calcio, è di formare quelli che un
domani saranno uomini, prima che calciatori o atleti.
“Forgiamo giovani
uomini, non campioni. Quelli che saranno i giocatori e i tifosi di domani,
proprio perché quelli
di oggi non ci piacciono un granchè”
Partendo da
questo semplice presupposto, il lavoro alla base della scuola calcio non può
limitarsi in alcun modo all’insegnamento del gioco in sé, ma deve spaziare in
tutti quegli aspetti “collaterali” del vivere sociale. Trasmettere valori sani,
imprimere cultura sportiva, appassionare al gioco, far amare una maglia, far
comprendere il concetto di squadra, di lavoro finalizzato a un obiettivo, di
collaborazione attiva.
Tutti
questi aspetti vanno sviluppati in maniera omogenea tra i nostri bambini,
progressivamente secondo la loro fascia di età, mai perdendo di vista il nostro
obiettivo.
Questo
significa dover scendere a compromessi continui con noi stessi, o con quello
che crediamo o credevamo fosse giusto nel mondo del calcio: dobbiamo
dimenticarci del gioco dei grandi, di quello che abbiamo giocato o di quello
che abbiamo allenato in precedenza.
Il calcio
dei bambini è puro e semplice.
-
PASSIONE
Appassionarsi allo sport tramite la
pratica del calcio.
Appassionarsi al calcio come sport e
come scelta di vita.
Per fare
ciò, il nostro lavoro deve essere, oltre che efficace per il raggiungimento
degli obiettivi tecnici e di crescita motoria, assolutamente coinvolgente dal
punto di vista emotivo.
Io la
chiamo “alfabetizzazione sportiva”, ovvero quella conoscenza di base che ti porta
a poterti appassionare allo sport, nello stesso modo che la conoscenza dell’abc
possa permetterti di leggere. Allo scrivere (e parimenti al praticare lo sport)
possiamo pensare in seguito.
La
conoscenza di fatti curiosi, o di personaggi storici al limite con la
mitologia, di imprese epiche da parte di calciatori come i nostri piccoli
allievi può essere una chiave per poter accendere la loro curiosità (ci ho
scritto un libro apposta).
Non meno
importante, a mio modo di vedere, la curiosità suscitata da gesti complicati
(nel palleggio, ad esempio), che stimoleranno nei nostri piccoli allievi uno
spirito di emulazione e di competizione tale da portarli a praticare il gioco
anche fuori dal rettangolo verde.
Appassionare
al gioco può voler dire strappare letteralmente i bambini al divano, alla
console, alla televisione.
Può voler
dire, in età posteriore, strapparli a modi di vivere potenzialmente dannosi, ad
atteggiamenti pericolosi fini a loro stessi, a frequentazioni inadatte a uno
“sportivo”.
-
RISPETTO
I nostri
piccoli allievi sono tenuti al rispetto.
Rispetto
degli orari: si comincia, si finisce. E’ un impegno da ambo le parti.
Rispetto
delle regole: poche e semplici, valide per tutti.
Rispetto
per se stessi: non ci si butta mai giù, non ci si loda.
Rispetto
per i compagni: i nostri compagni sono sempre fortissimi e non sbagliano
mai.
Rispetto
per gli istruttori: loro dedicano del tempo
Rispetto
per gli accompagnatori: loro dedicano del tempo
Rispetto
per le strutture che li ospitano: sono nostre e di tutti gli altri,
trattiamole bene.
Rispetto
per gli avversari: senza di loro non ci sarebbe il gioco.
Rispetto
per i direttori di gara: ci danno una mano quando non capiamo le regole.
Rispetto
per il pubblico: ci incita e ci accompagna.
A loro
volta potranno esigere il rispetto degli altri. Il rispetto si “conquista”
offrendo il proprio rispetto agli altri.
Il rispetto
è un valore vero, dal quale partono tutte le considerazioni di carattere
extracalcistico che sottendono alla scuola calcio.
-
LEALTA’
e ONESTA’
Essere
leali nel gioco e onesti nella vita è un aspetto per noi irrinunciabile e passa
attraverso un processo che tocca vari aspetti del vivere lo sport.
1 - la non esasperazione della competizione.
Come
abbiamo detto nella linea guida tecnica, la gara altro non è che un momento di
verifica del lavoro svolto, sia sotto il profilo tecnico che caratteriale.
Vincere è un bonus imprevisto, anche se gradito.
Assimilato
questo, non hanno senso scorrettezze di alcun tipo, già mal tollerate nel
calcio degli adulti, inammissibili nel calcio giovanile.
Non ha
senso “rubare” una rimessa laterale, o un calcio d’angolo. Non ha senso
simulare. Non ha senso protestare. Non ha senso colpire un avversario. Non ha
senso nell’autoarbitraggio approfittare delle situazioni.
Parimenti,
il gioco deve essere giusto, e onestà è anche voler rivendicare i propri
diritti senza subire torti, sempre rispettando le regole
2 – responsabilità
Ognuno deve
essere responsabile delle proprie azioni. Un comportamento in contrasto con la
squadra o l’istruttore o altro non può essere scaricato su altri. Ognuno deve
sapere che una data azione ha delle conseguenze e deve assumersi le proprie
responsabilità. In ogni fascia d’età, il che potrebbe significare
l’allontanamento dagli allenamenti o la non convocazione alle gare.
-
ATTACCAMENTO
ALLA MAGLIA
Il riconoscersi identitariamente in un gruppo unito, che
mira nel suo complesso a formare calciatori e sportivi che saranno vanto locale
un domani, passa attraverso l’attaccamento alla maglia, ovvero al rispetto e passione per il proprio club di
appartenenza.
Personalmente scoraggio il “tifo” per una squadra di blasone
professionistica nei miei piccoli allievi. Piuttosto, si tifi per la squadra
nella quale giochiamo, i nostri compagni e amici, oppure per i nostri compagni
più grandi o più piccoli andando a vederli e incoraggiandoli.
Al limite per i nostri “grandi”, ovvero la prima squadra.
Incoraggiando continuamente un atteggiamento del genere,
l’orgoglio di portare una divisa come gli altri nostri compagni (che si chiama
“divisa” appunto perché la si divide con gli altri), l’essere tifosi dei propri
amici, dei propri colori e, in definitiva, del proprio paese, fa si che fra i
nostri allievi l’idea di lasciare la società per andare altrove sia una
possibilità veramente remotissima.
Anzi, la convinzione di far parte di un gruppo solido e con
principi morali saldi, farà da
catalizzatore per altri che la pensano nello stesso modo e verranno a giocare
qui.
-
SQUADRA
L’assimilazione
del concetto di squadra avviene progressivamente fino ad essere completo alla
fine degli otto ani di scuola calcio.
La squadra
è più che un gruppo. E’ ciò che più si avvicina a “famiglia” al di fuori
dell’ambito famigliare.
I nostri
compagni di squadra sono quelli che ci abbracceranno e sgrideranno. Sono quelli
che verranno a tirarci in piedi dopo una caduta, o a batterci sulla spalla
quando saremo tristi. Quelli che sotto la doccia canteranno a squarciagola per
festeggiare o piangeranno di dispiacere per una occasione buttata, facendo
finta che sia l’acqua e non le lacrime.
Per primi
però siamo noi istruttori a dover essere consapevoli di questi valori. E
dobbiamo crederci fermamente in ogni occasione, difendendoli sempre.
Se non ci
crediamo noi, avremo perso. Se faremo differenze di trattamento per capacità
tecnica, avremo perso. Se durante una gara approfitteremo di una situazione,
avremo perso. Se lasceremo andare via i nostri bambini, avremo perso.
Soprattutto,
se i nostri bambini smetteranno di giocare, avremo perso.
(estratto dalla linea guida tecnico/concettuale della società dove opero, da me redatta)
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