martedì 13 ottobre 2015

Caraffe Magiche


Adoro allenare. E' il momento di vita vissuta più felice che posso immaginare (sesso a parte, ma qui si parla di calcio, per le sezioni hard ci stiamo organizzando).

I piccoli sono delle spugne. Quante volte sta frase ritorna nei discorsi di educatori, istruttori, allenatori, genitori, insegnanti. Ho perso il conto.

I piccoli sono delle caraffe magiche invece. Devi riempirle e sistematicamente si svuotano, ma il contenuto non è più lo stesso di prima: se hai versato acqua uscirà il vino, o la birra. Nel peggiore dei casi, una cola. Miracolo! urlerà qualcuno.


Io sono un bicchiere normale. Se verso il contenuto della caraffa magica nel bicchiere, ho imparato qualcosa, o semplicemente sto guardando la mia realtà da un punto di vista differente.

La differenza fra chi ha capito questa cosa e chi ancora non l'ha capita o non la vuole capire, è che i primi, finito un allenamento hanno imparato qualcosa, gli altri pensano di averne insegnate.

Adoro stare nel campo. Il campo ha l'erba, profuma, ci si sporca le scarpe. Da dentro il campo non senti nient'altro che i tuoi pensieri, i pensieri dei tuoi collaboratori, quelli dei bimbi. Non c'è mica bisogno di parlare, si vede dagli occhi, da un movimento, da un gesto. E sai dove hai fatto bene e dove puoi fare meglio.

Odio stare fuori dal campo. Si sentono una quantità di puttanate incredibili. Gente che a un torneo fa la classifica avulsa per vedere chi passa primo del girone. Gente che trova alibi perché il campione di 9 anni oggi non va, mentre di solito spacca tutto. Gente che fa l'analisi della partita indicando gli errori in copertura difensiva.

L'ho già detto da un'altra parte che è una questione di creature mitologiche: esistono nella testa della gente, tanto quanto le classifiche dei tornei.

Ora, la vogliamo piantare?

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